«[…]nascendo da queste zolle, la nostra cultura di popolo, è divenuta adulta […]»
(M.Heidegger)
Il rapporto fra l’uomo e la terra, come racconta Antonio Cossu, in Sardegna pare vincolato a una sorta di muta accettazione delle trame del destino, che trova il suo contrappunto solo nel sogno, quasi fosse l’unica via di fuga da una realtà pietrificata.
Tziu Raffaele, protagonista della storia, è chiamato a decidere, coraggioso, paziente, qualità che emergono attraverso la volontà, ma è con il sogno che crea legami e esorcizza paure e debolezze, che realizza ciò che il destino non gli può dare. E così è il vento, come il destino. Tziu Raffele lo attende, cerca di domarlo a sé, lo teme, lo maledice e lo invoca. Perché il vento è capace di far impazzire i pastori gridando fra le vette dei monti, di piegare e sradicare gli alberi, ululando come una bestia, ma è anche capace di carezzare i capelli, come una madre; è atteso po bentulare (separare il grano dalle stoppie), ma anche temuto perché portatore delle fiamme che tutto divorano.